Lettera di Suor Elisabetta

Carissimi amici di Arezzo,

quest’anno é stato per noi tutti davvero speciale, segnato dalle limitazioni e a volte dalle sofferenze causate dalla pandemia da covid-19. Certamente questa infezione ha messo tutto il mondo un po’ nella stessa situazione di emergenza,  anche se ovviamente noi in Ciad, ed in generale nei Paesi del Sud del mondo, abbiamo delle condizioni ben diverse dall’Europa. Quando l’11 marzo l’OMS ha dichiarato lo stato di Pandemia in tutto il mondo, e il Ciad ha chiuso le frontiere  il 19 marzo, le prime preoccupazioni sono state come limitare il contagio e la diffusione della malattia, visto che le condizioni di igiene e di vita in generale qui facilitano la diffusione rapida delle infezioni : potete immaginare cosa ha significato per noi educare la popolazione a lavarsi le mani all’entrata dell’ospedale e del mercato, quando già é difficile avere acqua pulita disponibile e sapone ; anche la disponibilità di guanti e di mascherine, all’inizio é stata un vero problema, poi piano piano abbiamo ricevuto degli aiuti, soprattutto dalla Chiesa e dalle Congregazioni religiose, visto che il Governo ha gestito gli aiuti dell’OMS e della Cina principalmente a livello politico e con poca attenzione effettivamente all’ aspetto  sanitario della pandemia. Solo in capitale e in due città principali sono stati impiantati i laboratori per analizzare i tamponi  per  la ricerca del virus ; noi a Bebedjia all’ospedale Saint. joseph non abbiamo avuto l’autorizzazione neanche per fare i test rapidi, e percio’ ci é difficile dire realmente qual é l’impatto che la malattia ha avuto. Certamente non cosi significativo come lo é per noi qui la malaria, o la tubercolosi o la malnutrizione. Eppure, molti medici ciadiani si sono precipitati in Capitale per formare gli infermieri sulle norme igieniche contro il covid e cosi hanno abbandonato le maternità degli ospedali rurali, che come potrete immaginare hanno sempre urgenze.

A Bebedjia si sono riversati molti malati urgenti o con malattie gravi, che non venivano curati altrove, dato che tutti erano preoccupati di isolare i « sospetti » casi di coronavirus. Anche i mesi di lockdown, qui dove ci sono poche materie prime e pochi generi di prima necessità, non sono stati facili da gestire, e la popolazione che in generale non possiede un conto in banca e vive dei prodotti dei campi e dei piccoli commerci, ha sofferto piu’ degli altri anni la povertà e la fame. Adesso che le frontiere per ora hanno riaperto, continuiamo la nostra vita quotidiana con le limitazioni negli spostamenti che la pandemia impone e con molte difficoltà per trovare il materiale sanitario e molti farmaci per la gestione dell’ospedale. Comunque i malati continuano a frequentare numerosi l’ospedale , forse perché altrove non sono curati e perché noi facciamo il possibile per dare una risposta a tutte le persone che ci chiedono aiuto. Anche se penso che qui non ci siano tanti casi di Covid come in Europa, resta sempre serio il problema della mortalità materna e infantile e della malnutrizione : nel nostro contesto ci sentiamo riconoscenti per tutto l’aiuto che riceviamo da voi, nonostante i tempi difficili che tutti attraversano. Certamente quest’anno abbiamo toccato con mano la fragilità della natura umana e nelle fatiche comuni chiediamo al Signore la capacità di essere attenti soprattutto a chi é solo. Anche a distanza noi ci sentiamo sostenuti  da quanti ci conoscono e credono nel piccolo contributo che l’Ospedale Saint Joseph puo’ dare per migliorare la salute in Ciad. Per questo vi siamo molto riconoscenti. Speriamo che la Comunità Scientifica riesca a trovare una soluzione per spegnere la pandemia per poter tornare ad una vita normale ed incontrarci nuovamente. Nell’attesa di rivedervi, vi saluto fraternamente  e vi ricordo insieme alle vostre famiglie

Suor Elisabetta R.